Introduzione

La sentenza n. 12449 del 7 maggio 2024 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a cui è seguita la pronuncia, sempre a Sezioni Unite, del 13 maggio 2024 n. 12974, affronta una questione fondamentale riguardante l’interpretazione degli “interessi legali” in ambito di esecuzione forzata.

Il caso, originato da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano, riguarda la qualificazione e la decorrenza degli interessi su un titolo esecutivo giudiziale, che manca di specificazione dettagliata.

La questione di diritto, assegnata alle Sezioni unite a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dal giudice del merito ai sensi dell’art. 363-bis cod. proc. civ., è se la mera previsione degli «interessi legali» nella pronuncia di condanna da parte del giudice della cognizione, possa essere interpretata, per la parte di interessi decorrenti dopo il momento della proposizione della domanda giudiziale, nei termini del saggio di interessi previsto dal comma quarto dell’art. 1284 cod. civ., oppure se, per l’assenza di specificazioni nella decisione, il saggio degli interessi debba restare limitato a quello previsto dal primo comma della medesima disposizione codicistica.

 

Fatti di causa e questione giuridica

La controversia nasce da un’opposizione al precetto fondata sull’erroneo calcolo degli interessi di mora e dalla contestazione della possibilità del giudice dell’esecuzione di integrare il titolo esecutivo giudiziale con previsioni mancanti sugli interessi.

Il Tribunale di Milano ha chiesto alle Sezioni Unite di risolvere se, in assenza di specificazione nel titolo esecutivo giudiziale, gli interessi legali debbano essere limitati al tasso previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. o possano includere anche il saggio previsto dal quarto comma dello stesso articolo.

La Prima Presidente della Corte ha ritenuto ammissibile il rinvio pregiudiziale, dato che la questione non era stata risolta in modo definitivo dalla giurisprudenza di legittimità esistente.

 

Decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione

Le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “ove il giudice disponga il pagamento degli «interessi legali» senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

Quindi in assenza di specificazione, gli interessi legali indicati in un titolo esecutivo giudiziale devono essere intesi secondo il saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ., a meno che non vi sia un accertamento specifico della spettanza degli interessi ai sensi del quarto comma dello stesso articolo.

Questo accertamento deve essere presente nel titolo esecutivo per consentire l’applicazione del tasso maggiorato previsto per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

 

Analisi del principio di diritto

La sentenza sottolinea che il giudice dell’esecuzione non ha poteri di cognizione per integrare il titolo esecutivo, ma deve limitarsi a dare attuazione al comando contenuto nel titolo stesso.

Il potere del giudice dell’esecuzione è quindi interpretativo e non integrativo, richiedendo che qualsiasi specificazione sugli interessi maggiorati sia chiaramente inclusa nel titolo esecutivo stesso.

 

Conclusioni

La Corte ha così stabilito un principio di diritto chiaro e preciso per evitare ambiguità nell’applicazione degli interessi legali in sede di esecuzione forzata.

Questa decisione contribuisce a definire i limiti dei poteri del giudice dell’esecuzione e a garantire una maggiore certezza giuridica per le parti coinvolte nei procedimenti esecutivi.

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