ABSTRACT

In questo lavoro si mira ad individuare la disciplina riguardante gli oneri da rimborsare in caso di estinzione anticipata di un finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione da parte di un consumatore. Tale analisi verrà compiuta tenendo a mente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea C-383/18, Lexitor.

 

 

Introduzione

Il finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione è sottoposto ad una disciplina particolare dettata dal DPR 180 del 1950 e modificata in varie occasioni.

Per effetto dell’inserimento nel Testo unico bancario di un corpus normativo riguardante il credito al consumo, avvenuto con il Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141, la disciplina contenuta nel DPR 180/50 ha assunto la natura di insieme di norme speciali, in quanto dettata per una particolare forma di finanziamento ai consumatori che costituisce una specie rispetto al genere “credito ai consumatori” disciplinato dal TUB.

Sulla base del criterio che l’ordinamento italiano adotta per risolvere le antinomie espresso dal brocardo latino “lex specialis derogat lex generalis”, la disciplina dettata per questo particolare finanziamento è destinata a prevalere sulle norme di natura generale contenute nel TUB. Il rapporto norma generale-norma speciale, così chiaramente evidenziabile a partire dal 2010, è divenuto meno chiaro con la modifica del DPR 180/50 compiuta con il Decreto legislativo 19 settembre 2012, n. 169, il cui art. 31, comma 1, ha previsto l’introduzione dell’art. 6-bis nel DPR 180/50. Tale nuovo articolo dispone che al finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione si applica la disciplina generale sul credito al consumo contenuta nel TUB. Fra le norme richiamate rientra, dunque, anche l’art. 125-sexies TUB che disciplina l’estinzione anticipata del finanziamento da parte del consumatore.

Nell’interpretare le norme del DPR 180/50 inerenti all’estinzione anticipata del finanziamento, quindi, non si può non tener conto di tale richiamo alla disciplina generale dell’estinzione anticipata di un finanziamento al consumatore contenuta nel suddetto articolo del TUB.

L’art. 6-bis del DPR 180/50, nella parte che qui interessa, così dispone:

  1. All’istituto della cessione di quote dello stipendio o salario o di pensione disciplinato dai titoli II e III del presente testo unico si applicano le norme in materia di credito ai consumatori di cui al capo II del titolo VI del testo unico in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, OMISSIS.
  2. OMISSIS
  3. La Banca d’Italia definisce, ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, disposizioni per favorire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nonché l’efficienza nel processo di erogazione di finanziamenti verso la cessione di quote di stipendio o salario o di pensione. In particolare, tali disposizioni sono volte a:
  4. OMISSIS
  5. Rendere la struttura delle commissioni trasparente, in modo da permettere al cliente di distinguere le componenti di costo dovute all’intermediario e quelle dovute a terzi, nonché gli oneri che devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata del contratto;

OMISSIS”.

La frase inerente agli oneri rimborsabili può essere così ricostruita:

 “permettere al cliente di distinguere (…) gli oneri che devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento da quelli che non devono essere rimborsati”.

 

I –        Inquadramento storico.

Successivamente alle modifiche apportate al TUB con la riforma del 2010, la Banca d’Italia, con provvedimento del 9 febbraio 2011, ha provveduto ad emendare le disposizioni di trasparenza e vigilanza approvate il 29 luglio 2009. All’interno di esse si rinvengono, quali norme pertinenti rispetto all’art. 125-sexies TUB, quelle che si occupano del profilo della riduzione del costo totale del credito in conseguenza del rimborso anticipato. Sono norme che esplicitano che il diritto alla riduzione si riferisce ai costi recurring (Sezione VII). E’ stata, inoltre, inserita anche la Sezione VII-bis, dedicata esclusivamente all’istituto della cessione di quote dello stipendio, del salario o della pensione. In essa si statuisce che le procedure interne dei finanziatori devono quantificare “in maniera chiara, dettagliata e inequivoca gli oneri che maturano nel corso del rapporto e che, in caso di estinzione anticipata, sono restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente”.

Il fine che con tale disposizione si voleva raggiungere era quello di evitare che nei contratti di finanziamento verso cessione di quote di stipendio o di pensione risultasse che gli oneri upfront (non rimborsabili) e quelli recurring (rimborsabili) non fossero qualificati correttamente (potendosi avere nei contratti oneri dei quali non era ben comprensibile la natura) o non fossero indicati in modo veritiero quanto al loro importo.

In questo quadro normativo, nel 2012 è stato introdotto nel DPR 180/50 l’art. 6-bis che si è posto in rapporto di continuità con le disposizioni secondarie già introdotte da Banca d’Italia, per promuovere la trasparenza nei contratti riguardo agli oneri posti a carico del consumatore. Tale articolo ha completato le disposizioni contenute nella Sezione VII-bis del TUB richiedendo che siano identificabili dal consumatore gli oneri che gli devono essere rimborsati in caso di estinzione anticipata.

Quindi, attraverso le disposizioni di Banca d’Italia del 2011 e l’art. 6-bis del 2012 si intese determinare la disciplina per i contratti di finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione che può essere così sintetizzata:

1 –       i costi recurring (cioè quelli oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata) devono essere indicati in maniera chiara e inequivoca;

2 –       l’importo di tali costi indicato nei contratti deve essere veritiero;

3 –       al consumatore deve essere reso possibile identificare nel contratto i costi recurring.

 

Se si ha a mente il contesto storico nel quale è sorta la disciplina di cui all’art. 6-bis del DPR 180/50, dovrebbe concludersi che la volontà del legislatore del 2012 fu quella di considerare alcuni oneri rimborsabili (i recurring) e altri no (gli upfront).

 

II –       Interpretazione letterale dell’art. 6-bis comma 3 del DPR 180/50.

Procedendo ora ad un’interpretazione letterale della disposizione contenuta nell’art. 6-bis, comma 3, lettera b) del DPR 180/50, il punto cruciale è rappresentato dal significato da attribuire al verbo “distinguere”. Nel significato più comune tale verbo sta ad indicare “riconoscere diversi fra loro due o più oggetti, avvertendo, con i sensi e con l’intelletto, la differenza che è tra essi”. Non sembra possibile individuare un’interpretazione diversa.

Infatti, esaminando il testo del frammento di disposizione, sembra appare chiaro che al verbo in esame debba attribuirsi questo significato, e ciò si ricava principalmente dal fatto che lo stesso verbo è utilizzato per affermare che il consumatore deve poter “distinguere le componenti di costo dovute all’intermediario e quelle dovute a terzi”.

Se il verbo “distinguere” è utilizzato nella frase col significato di “riconoscere diversi fra loro due o più oggetti”, allora con riferimento agli oneri si deve affermare che esso stabilisce che il consumatore deve poter distinguere fra gli oneri che gli devono essergli rimborsati in caso di estinzione anticipata del contratto e quelli che non devono essergli rimborsati.

Detto ciò, si tratta di andare a verificare più attentamente quali costi debbano considerarsi non rimborsabili, e ciò può essere attuato solo cercando di individuare l’esatto significato di quanto disposto dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea C-383/18, Lexitor. Infatti, la sentenza Lexitor sembra potersi interpretare tanto nel senso che essa imponga il rimborso di tutti i costi upfront indipendente dal fatto che essi siano propri del finanziatore quanto nel senso che da essa discenda l’obbligo di rimborsare solo i costi propri del finanziatore, con esclusione, quindi, dei costi di terzi.

Si proporranno alcune ipotesi.

 

III –      Interpretazione della sentenza Lexitor per cui tutti gli oneri devono essere proporzionalmente rimborsati in caso di estinzione anticipata di un finanziamento.

Nell’ipotesi in cui si concludesse che la sentenza Lexitor imponga il rimborso proporzionale di tutti gli oneri rientranti nella nozione di costo totale del credito e si ritenesse altresì che anche il finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione sia sottoposto alla direttiva 2008/48/CE, con la conseguenza dell’obbligo di interpretazione conforme al diritto europeo e, dunque, anche alla sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, delle norme dettate per questo tipo di finanziamento, si dovrebbe concludere che un’interpretazione nel senso che tutti i costi devono essere rimborsati in caso di estinzione anticipata di un finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione dovrebbe considerarsi contra legem.  Sulla base degli stessi principi sanciti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tale interpretazione risulterebbe inammissibile. Si porrebbe, allora, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 6-bis del DPR 180/50, che dovrebbe essere risolta dalla Corte costituzionale, ma l’adeguamento della norma stessa al diritto europeo non potrebbe essere attuato attraverso un’operazione di carattere ermeneutico.

Tuttavia, può ritenersi che a tale conclusione non debba necessariamente giungersi in quanto appaiono valide alcune argomentazioni per cui questa forma di finanziamento non rientri fra quelle sottoposte alla direttiva 2008/48/CE, per cui un obbligo di interpretazione del dato normativo al diritto europeo non sussiste.

 

IV –      Possibile esclusione di tale conclusione.

Infatti, non tutte le forme di credito al consumo rientrano nell’ambito di applicabilità della direttiva 2008/48/CE, e dunque, diviene necessario verificare se il contratto di credito in esame rientri o meno fra quelli sottoposti alla disciplina della suddetta direttiva.

All’art. 2 della direttiva 2008/48/CE è statuito che:

“La presente direttiva non si applica ai:

  1. OMISSIS

Omissis

  1. L) Contratti di credito relativi ai prestiti concessi a un pubblico ristretto in base a disposizioni di legge con finalità di interesse generale, che non prevedono il pagamento di interessi o prevedono tassi inferiori a quelli prevalenti sul mercato oppure ad altre condizioni più favorevoli per il consumatore rispetto a quelle prevalenti sul mercato e a tassi di interesse non superiori a quelli prevalenti sul mercato”.

La normativa sul finanziamento contro cessione di una quota dello stipendio o della pensione intende garantire ai soggetti che nel tradizionale mercato del credito non riuscirebbero ad ottenere un finanziamento, di acquisirlo grazie a questo particolare strumento.  L’interesse generale perseguito con tale disciplina di settore appare costituito dalla realizzazione inclusione finanziaria. Si tenga, altresì, presente che il DPR 180/50 nacque anche con l’intenzione di salvaguardare dall’usura gli addetti alla Pubblica amministrazione e inibire quindi il potere ricattatorio dell’usuraio su chi gestisce il bene pubblico. La portata sociale della norma è stata poi estesa ad altre categorie ma resta intatta la sua natura eccezionale rispetto al mercato dei finanziamenti al consumo.

Il finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione permette ai soggetti che se ne possono avvalere di realizzare un’operazione negoziale che, senza questa particolare disciplina, non sarebbe realizzabile. Infatti, il mutuatario-lavoratore dipendente (o pensionato), attraverso tale operazione, cede al mutuante i propri crediti futuri (e, quindi, non ancora esistenti) nei confronti del proprio datore di lavoro. Per il perfezionamento di tale cessione non è necessario il consenso del datore di lavoro-debitore ceduto, al quale la cessione deve essere solo notificata. Inoltre, in forza della stipula del contratto di finanziamento, si ha la costituzione di un vincolo a favore del finanziatore sul Trattamento di fine rapporto maturato e maturando dal mutuatario presso il proprio datore di lavoro o fondo pensione. Il TFR è destinato a garantire il rimborso del prestito in caso di cessazione, qualunque sia la causa, nel corso del periodo di ammortamento del prestito, del rapporto di lavoro tra dipendente e datore di lavoro. Ma l’operazione negoziale si caratterizza anche per altri aspetti che non possono essere rinvenuti nelle operazioni tradizionali. A titolo di esempio, la normativa speciale prevede che al finanziatore non sia opponibile l’eventuale pignoramento che dovesse colpire lo stipendio o la pensione del mutuatario, che potrà essere assegnato al creditore pignoratizio solo per la quota lasciata libera dalla rata di rimborso del finanziamento

In tali aspetti si devono rinvenire le condizioni più favorevoli per il consumatore di cui all’art. 2, comma 2, lettera L, della direttiva 2008/48/CE.

Inoltre, vale evidenziare che le rilevazioni statistiche compiute in più occasioni hanno mostrato che i tassi di interesse richiesti a coloro che accedono a tale forma di finanziamento sono più favorevoli rispetto a quelli di mercato. Dunque, anche in tale aspetto si rinviene la condizioni per cui il finanziamento è concesso a condizioni più favorevoli rispetto a quelle che caratterizzano le altre forme di credito al consumo.

Prevedendo tale normativa una particolare forma di cessione di crediti futuri, ne discende che al relativo prodotto di finanziamento possono accedere solo i lavoratori della Pubblica Amministrazione italiana, i pensionati italiani nonché i dipendenti delle aziende con sede legale in Italia. La normativa esaminata non può, infatti, essere imposta ad aziende con sede legale in Paese diverso dall’Italia in quanto a esse non si può applicare un complesso normativo dell’ordinamento italiano. Da questo punto di vista può affermarsi che tale forma di finanziamento non è rivolta a tutti i consumatori dell’Unione europea ma solo ad un gruppo di consumatori che hanno un particolare rapporto con organizzazioni italiane.

Rimane il problema di determinare la valenza dell’aggettivo “ristretto” che va a qualificare il gruppo a cui deve essere rivolto un particolare finanziamento affinché esso non sia sottoposto alla Direttiva. Da questo punto di vista non si rinvengono nei considerandi elementi utili per attribuire un chiaro significato a questa parola. Se si ha riguardo al mercato italiano, sembrerebbe possibile qualificare come ristretto il gruppo a cui si rivolge il prodotto del finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione in quanto vi possono accedere (con ulteriori limitazioni di anzianità di servizio, età anagrafica e reddito) solo i dipendenti della Pubblica Amministrazione italiana, i pensionati italiani e i lavoratori delle aziende con sede legale in Italia. Sono così esclusi tutti i consumatori che non rientrano nella categoria dei lavoratori dipendenti, quali ad esempio, i lavoratori autonomi, anche qualora richiedessero il finanziamento per motivi estranei alla loro attività professionale. Se si ha riguardo al mercato europeo, tale caratteristica appare ancora più chiaramente sussistente poiché tutti i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni straniere, tutti i dipendenti delle aziende con sede legale in uno Stato diverso dall’Italia e tutti i lavoratori autonomi non possono ricorrere a questa forma di finanziamento.

Che la disciplina del finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione sia eccezionale rispetto a quella prevista per le altre forme di credito al consumo e rifletta il fatto che tale finanziamento si rivolge ad una categoria particolare di soggetti che meritano una particolare tutela (anche contro sé stessi) si ricava dai seguenti aspetti della disciplina:

  • Può essere stipulato un solo contratto di cessione alla volta e solo a tasso fisso e per le durate da 2 a 10 anni (art. 6 del DPR 180/50); l’importo del finanziamento e della rata di rimborso non deve superare il quinto della retribuzione e gli effetti della cessione in caso di interruzione del rapporto di lavoro, si estendono anche al trattamento di fine servizio “TFS” (per il comparto pubblico) e di fine rapporto (TFR).
  • L’art. 39 del suddetto testo unico dispone che il rinnovo della cessione del quinto non può avvenire in qualunque momento, secondo una libera scelta del mutuatario, ma solo quando siano state rimborsate 4/10 delle rate previste. Anche l’estinzione anticipata del finanziamento ha una disciplina particolare. Infatti, l’art.39 comma 1, del DPR 180/50 stabilisce che nel caso in cui il finanziamento sia stato estinto anticipatamente, una nuova cessione del quinto potrà essere contratta solo dopo che sia trascorso almeno un anno dall’anticipata estinzione della precedente cessione.
  • .

Volendo ricapitolare: l’art. 2, comma 2, lettera l), della Direttiva richiede quattro condizioni affinché un tipo di finanziamento non sia sottoposto alla disciplina della direttiva, così individuali:

  1. Il finanziamento deve essere previsto dal diritto interno per realizzare interessi generali.

Da questo punto di vista può affermarsi che il finanziamento contro cessione di una quota dello stipendio o della pensione soddisfa tale criterio in quanto mira all’inclusione finanziaria di una larga fascia di soggetti percettori del solo reddito da lavoro dipendente e non altrimenti patrimonializzati, non rientranti nelle soglie di merito creditizio previste dalla normativa di settore.

  1. Il finanziamento deve presentare delle condizioni più favorevoli rispetto a quelle ottenibili sul mercato del credito.

Da questo punto di vista il finanziamento in esame soddisfa tale criterio in quanto si basa su un’operazione negoziale costituita da una cessione di crediti futuri che non richiede il consenso del debitore, con un conseguente vincolo sul TFR e con altre caratteristiche particolari, la quale non si potrebbe realizzare sulla base delle norme generali di diritto civile.

  1. Il finanziamento deve essere rivolto ad un gruppo e, quindi, non a tutti i cittadini.

Tale finanziamento non è rivolto a tutti ma solo ai dipendenti di determinate organizzazioni italiane (e questi dipendenti devono presentare, altresì, ulteriori caratteristiche). Sono esclusi tutti i lavoratori autonomi nonché i dipendenti di Pubbliche Amministrazioni i di società non italiane.

  1. Il gruppo a cui è rivolto il finanziamento deve essere “ristretto”.

Da questo punto di vista il finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione presenta senz’altro tale requisito se si ha riguardo al mercato europeo del credito al consumo, ma è sembra ragionevole ravvisarlo anche se si tiene a mente il mercato nazionale del credito al consumo.

 

V –       Primo risultato.

Appare plausibile sostenere che il finanziamento verso la cessione di una quota dello stipendio o della pensione rientri fra quelle forme di finanziamento individuate dall’art.2, comma 2, lettera l) della direttiva 2008/48/CE, alle quali la direttiva stessa non si applica.

Non essendo sottoposto alla suddetta direttiva, sui giudici non grava l’obbligo di interpretazione conforme al diritto europeo e alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (come la sentenza Lexitor) e, dunque, l’interpretazione dovrà avvenire secondo i tradizionali criteri ermeneutici dell’ordinamento italiano. Da questo punto di vista, l’interpretazione secondo cui il verbo “distinguere” sta a significare “riconoscere come diversi fra loro due o più oggetti” appare piana, con la conseguenza che il frammento normativo in esame dovrà essere interpretato nel senso che le disposizioni della Banca d’Italia devono permettere al consumatore di distinguere gli oneri che gli devono essere rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento rispetto a quelli che non formano oggetto di restituzione. D’altra parte, non viene a porsi neanche una questione di legittimità costituzione del frammento dell’art. 6-bid del DPR 180/50 esaminato.

Giunti a questa conclusione, anticipando ciò che si dirà infra, questa disposizione può essere intesa tanto nel senso che solo ed esclusivamente i costi dei terzi non vadano rimborsati quanto nel significato che tutti i costi upfront (sia quelli propri del finanziatore che quelli di terzi) non formino oggetto di rimborso. La scelta fra questi due possibili significati può essere compiuta solo individuando il contenuto dell’art. 125-sexies del Testo unico bancario che, come si è evidenziato, è richiamato dall’art. 6-bis, comma 1, del DPR 180/50. L’interpretazione di questo articolo del TUB dipende, a sua volta, dal significato che si  attribusce alla sentenza Lexitor.

 

VI –      Il significato da attribuirsi all’art. 125-sexies TUB alla luce della sentenza Lexitor.

Una prima lettura della sentenza Lexitor può far ritenere che essa statuisca che, in caso di rimborso anticipato del finanziamento, la riduzione (in altri termini, il rimborso) debba riguardare tutte le voci di costo ricomprese nel “costo totale del credito”.

Infatti, nella parte motiva della sentenza si afferma che l’espressione che indica nell’art. 16 della direttiva come la riduzione del “costo totale del credito” vada compiuta, deve essere interpretata nel senso che essa riguarda il costo totale del credito “in proporzione” della vita residua del contratto”.

Tuttavia, a smentire questa prima lettura è la stessa massima della sentenza Lexitor, in cui si afferma che il diritto alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include “tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il fatto che si usi l’espressione “posti a carico del consumatore” sembra in qualche modo indicare che si fa riferimento ai costi propri del finanziatore che trasferisce al consumatore e non di tutti i costi rientranti nella definizione di costo totale del credito.

Questa interpretazione è avvalorata da alcune considerazioni che sono svolte nelle conclusioni dell’Avvocato generale nella causa C-555/21, Unicredit Bank, relativa ai mutui immobiliari e così riassumibili:

–           La vicenda polacca da cui derivò la causa 383/18, Lexitor, non riguardava un caso in cui erano presenti costi di terzi eventualmente da ridurre (punto 26 “non era in discussione alcun costo che non fosse del mutuante”).

–           L’avvocato generale della causa Lexitor nelle sue conclusioni non fa mai riferimento a costi di terzi ma solo ai costi propri del finanziatore (nota 15).

–           La nozione di costo totale del credito è delineata al fine di individuare i costi da considerare per determinare “l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare” e per determinare il TAEG (punto 43). Questi sono gli scopi per cui è definito.

–           Avvalorano l’idea che la sentenza Lexitor non riguarda i costi dei terzi i lavori preparatori in corso per la riforma della direttiva 2008/48/CE. Sia la Commissione europea, nella sua proposta, sia il Consiglio, nel suo orientamento generale, chiariscono che la riduzione riguarderà gli interessi e i costi propri del finanziatore.

–           In generale, l’affermazione per cui tutti costi debbano essere rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento arriva al punto di premiare il consumatore per un cambiamento che egli impone alla controparte. Ciò vale anche con riferimento ai costi pagati a terzi a titolo di imposte, oneri amministrativi o servizi professionali, quali la perizia immobiliare o l’intermediazione (punti 71 e 72).

–           La nozione di costo totale del credito non è idonea ad individuare gli oneri che devono formare oggetto di riduzione in caso di estinzione anticipata del finanziamento. Alcuni degli oneri che rientrano nella nozione di costo totale del credito sono retribuzioni di singole prestazioni preparatorie del futuro rapporto contrattuale (l’intermediazione). Altri contribuiscono a sostenere gli oneri pubblici (imposte) o remunerano attività o servizi della pubblica amministrazione, nell’interesse non solo delle parti, ma anche della società nel suo complesso e del traffico giuridico. Il fatto che tali costi debbano essere computati per informare il consumatore del “prezzo” totale del credito, non implica che essi formino parte dei costi che saranno oggetto di riduzione in caso di rimborso anticipato (punto 75).

–           Anche se la sentenza Lexitor si dovesse applicare ai crediti immobiliari, tale applicazione comporterebbe soltanto il rimborso dei costi funzionali alla remunerazione del creditore, vale a dire i costi diversi da quelli pagati a terzi (punto 91).

A queste considerazioni si deve aggiungere che l’argomentazione principale che il giudici della sentenza Lexitor sviluppano per escludere che solo i costi recurring debbano essere oggetto di riduzione sta nel fatto che il finanziatore potrebbe indicare in modo non veritiero nel contratto i costi, aumentando quelli upfront e riducendo quelli recurring, ottenendo così il risultato di dover rimborsare in caso di estinzione anticipata un importo minore rispetto a quello rimborsabile nel caso in cui tali costi siano indicati in modo veritiero.

Da questo punto di vista risulta chiaro che questa operazione di manipolazione dei costi non può operare nei confronti di costi di terzi, i quali sono oggetto di normale fatturazione. D’altra parte, tale argomentazione non può certo essere applicata alle imposte, che pure sono fra le voci di costo rientranti nel costo totale del credito: sembra paradossale immaginare che i finanziatori non indichino in modo veritiero le imposte che devono essere pagate in conseguenza della stipulazione del contratto di finanziamento, essendo soggetti strettamente vigilati da organi di controllo pubblici.

Si possono sviluppare altre argomentazioni per cui può dirsi che la sentenza Lexitor impone il rimborso proporzionale solo dei costi propri del finanziatore e non di quelli di terzi

Si deve esaminare l’art. 3, lettera g) della direttiva che così dispone:

L’art. 3, lettera g) della direttiva contiene la definizione di “costo totale del credito” e così dispone:

“costo totale del credito per il consumatore”: tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili (…).”

Appare evidente questa definizione non può in ogni caso essere quella da utilizzare per determinare i costi oggetto di riduzione in caso di estinzione anticipata del finanziamento. In forza di essa, infatti, rientrano nel costo totale del credito “tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza”.

Quindi, anche spese sulle quali il creditore non ha in alcun modo una qualche influenza e di cui ha solo conoscenza rientrano nel costo totale del credito. E ciò si giustifica perché si vuole che il consumatore abbia una conoscenza esatta dell’importo totale del debito e del TAEG. Ma appare privo di senso affermare che le spese di cui il creditore ha solo conoscenza e sulle quali non può in alcun modo influire (ad esempio, attivandosi per renderle meno costose) debbano formare oggetto di riduzione (cioè di rimborso) in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

Sembra, dunque, che il principio affermato dalla sentenza Lexitor riguardi esclusivamente i costi propri del finanziatore mentre sono esclusi i costi di terzi (i quali, dunque, non dovranno formare oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata del finanziamento).

Risulta, invece, assai meno plausibile l’interpretazione secondo cui la sentenza Lexitor impone che tutti i costi rientranti nella nozione di “costo totale del credito” vanno proporzionalmente rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

 

VII –     L’interpretazione della norma sull’estinzione anticipata del DPR 180/50 alla luce dell’art. 125-sexies TUB.

 

1-        Prima interpretazione.

L’interpretazione più plausibile dell’art. 125-sexies TUB alla luce della sentenza Lexitor appare, dunque, quella per cui solo i costi diversi da quelli dei terzi vadano rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

Passando ad interpretare l’art. 6-bis del DPR 180/50 e tenendo a mente questo significato dell’art. 125-sexies, sembra doversi ragionevolmente concludere che esso indichi che anche nel finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione, in caso di estinzione anticipata del finanziamento sono rimborsabili i costi upfront propri del finanziatore ma non quelli di terzi. A tale conclusione si ritiene di dover giungere attraverso un’interpretazione sistematica delle norme dell’art. 6-bis. Al comma 1 esso dispone che l’art 125-sexies TUB si applica anche al finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio o della pensione. Al comma 2, lettera c) dispone che il consumatore deve poter distinguere gli oneri che gli devono essere rimborsati da quelli non rimborsabili. Volendo attribuire una coerenza alla volontà del legislatore come oggettivata nelle norme, siccome il richiamo al 125-sexies TUB comporta che i costi propri vadano rimborsati mentre i costi di terzi no, la successiva disposizione deve essere intesa nel senso che il consumatore debba individuare nel contratto i costi propri del finanziatore (upfront e recurring) che vanno rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento.

 

2-        Seconda interpretazione.

Una seconda, meno probabile, interpretazione dell’art. 125-sexies TUB, già in parte esposta, comporta che in caso di estinzione anticipata del finanziamento tutte le voci di costo rientranti nella nozione di “costo totale del credito” vadano rimborsate.

Passando ora ad interpretare l’art. 6-bis del DPR 180/50, l’antinomia che sussiste fra ciò che dispone tale articolo e quanto prevede l’art. 125-sexies TUB porta necessariamente a far prevalere la norma speciale, con la conseguenza che la sua interpretazione dovrà sganciarsi da ciò che dispone il Testo unico bancario. La conseguenza è che tale articolo dovrà essere interpretato nel senso che solo i costi recurring debbano formare oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata del finanziamento. A favore di tale interpretazione depone il contesto storico nel quale si è sviluppata questa disciplina. Giova ancora ripetere che tale norma dovrà essere interpretata secondo i criteri ermeneutici tradizionali in quanto – se si accetta l’ipotesi formulata secondo cui la direttiva 2008/48/CE non si applica a tale forma di finanziamento – solo essi dovranno formare oggetto di applicazione.

 

VIII –    Un’ulteriore considerazione.

Un’interpretazione dell’art. 6-bis del DPR. 180/50 nel senso che tutti gli oneri devono essere proporzionalmente rimborsati in caso di estinzione anticipata del finanziamento non appare coerente con la disciplina prevista per tale forma di finanziamento, la quale mira a garantire condizioni favorevoli ai potenziali fruitori di questo contratto. Tale interpretazione, infatti, darebbe vita a comportamenti opportunistici di alcuni mutuatari che determinerebbero un aggravio di costi per altri debitori.

Si tenga presente che la cessione di una quota dello stipendio o della pensione può avere una durata da 2 a 10 anni. Il Legislatore ha dunque ritenuto che vi siano tanto consumatori interessati a finanziamenti della durata di due anni, quanto consumatori interessati a finanziamenti della durata di dieci anni. Data la rimborsabilità di tutti gli oneri in caso di estinzione anticipata, coloro che hanno interesse ad una cessione di una quota dello stipendio o della pensione della durata di due anni si comporteranno opportunisticamente e stipuleranno finanziamenti della durata di dieci anni, con la precisa intenzione di estinguerli anticipatamente. Decorsi i due anni essi procederanno all’estinzione anticipata del finanziamento ottenendo un rimborso proporzionale di tutti gli oneri. Se questi soggetti avessero stipulato finanziamenti della durata di due anni, alla scadenza del finanziamento non avrebbero ottenuto alcun rimborso in quanto non si sarebbe trattato di un caso di estinzione anticipata dello stesso. Tale comportamento, tuttavia, comporterà un costo per il finanziatore, in quanto, tanto nel caso di oneri propri, quanto nel caso di oneri di terzi, non potrà recuperarli. Le spese per tali oneri sono state compiute e sono irrecuperabili (ad esempio, le spese per l’istruttoria non state compiute nella fase preliminare del rapporto e non vi è modo di riutilizzarle in un altro modo, cioè recuperarle). Al fine di coprire tali costi il finanziatore chiederà un tasso di interesse più elevato a tutti i mutuatari. In tal modo coloro che stipulano una cessione di una quota dello stipendio o della pensione della durata di dieci anni senza intenzione di estinguere anticipatamente si troveranno a pagare un tasso di interesse più elevato rispetto a quello che avrebbero pagato se la previsione del rimborso di tutti gli oneri in caso di estinzione anticipata non vi fosse stata. L’interpretazione dell’art. 6-bis del DPR 180/50 secondo cui tutti gli oneri devono essere rimborsati va a vantaggio dei mutuatari opportunisti e a danno dei mutuatari che si comportano secondo correttezza e buona fede.

 

 

X –       Conclusioni.

Alla luce dell’analisi compiuta può ritenersi che sia assai ragionevole considerare i costi dei terzi come non rimborsabili in caso di estinzione anticipata del finanziamento verso cessione di una quota dello stipendio, del salario o della pensione di cui al DPR 180/50.

L’esclusione dei costi upfront propri del finanziatore dipenderà, invece, dall’interpretazione che si affermerà dell’art. 125-sexies TUB.  Se esso verrà inteso nel senso che solo i costi upfront del finanziatore debbano essere rimborsati, allora un’interpretazione sistematica dell’art 6-bis del DPR 180/50 dovrà portare a ritenere che esso stabilisca lo stesso principio, con la conseguenza che i costi upfront propri del finanziatore formerebbero oggetto di restituzione in caso di estinzione anticipata del finanziamento mentre quelli dei terzi no. Ma, nel caso in cui si ritenesse che l’art. 125-sexies TUB imponga la restituzione di tutti costi upfront, allora l’interpretazione della norma speciale contenuta nel DPR 180/50 dovrebbe essere nel senso che solo i costi recurring debbano formare oggetto di rimborso.

 

 

[1] Il presente la voro costituisce una rielaborazione di un parere predisposto da chi scrive e richiesto da IBL Banca S.p.A.